LA STORIA DI LAMOLI E DELLA SUA ABBAZIA


LAMOLI

Caratteristico borgo montano, frazione del comune di Borgo Pace, Lamoli si trova alle pendici dell'appenino umbro- marchigiano lungo la strada che porta al valico di Bocca Trabaria. Il suo nome deriva da castrum Lamularum o Lamule, appellativo dovuto alla particolare conformazione geologica del suo terreno, costituito da lame, caratterizzate da terreni alluvionali formatisi nel corso del tempo. La fertilità di quest'area e la presenza di acqua corrente, l'hanno resa sede di insediamenti sin dall' antichità. La storia di Lamoli in epoca medioevale sarà legata inscindibilmente a quella della Massa Trabaria, provincia autonoma della Chiesa. Infatti in questo territorio vi è presente una grande quantità di legname finalizzato in tempi antichi al "servitium trabium" che i massani dovevano al vescovo di Roma per il mantenimento delle basiliche, (da cui il nome "Massa Trabaria")[1].

Inoltre la sua posizione era crocevia di tre punti di valico che collegavano la valle del Tevere con quella del Metauro attraverso il passo di Bocca Trabaria, quello detto "delle Vacche" in direzione Sansepolcro, e lo sbocco delle Macinelle verso città di Castello.

La natura incontaminata della valle, i terreni senza padrone e il loro basso costo favorirono uno spontaneo insediamento dei monaci benedettini, che fondarono, qui e nelle zone limitrofe, alcune abbazie, tra cui quella di Lamoli. I possedimenti dell'abbazia non erano molto ampli; comprendevano a nord il "Castellaccio" situato sulla collina che sovrasta il monastero, dove permangono resti insediativi fortificati, a sud-ovest il Castel di Bavia, da cui deriverà nel XVI secolo Borgo Pace, e l'eremo di Monte Sant'Antonio sul valico di Bocca Trabaria citato in un diploma di Ottone IV del 1209.

Pur essendo stata costruita su un importante e antico snodo viario, ai confini di un luogo di rilevante importanza (ricordiamo che il territorio della Massa era considerato "demanio speciale" e i Massani tenuti in gran considerazione sia dai pontefici che dagli imperatori), poco o nulla si conosce della sua chiesa, San Michele Arcangelo, e della storia di essa. Pochissime le fonti documentarie certe, come pochissimi gli studi su questo tema.

ABBAZIA DI SAN MICHELE ARCANGELO

"Ottavo posto in classifica nazionale, prima nella regione Marche e prima nella categoria Abbazie d'Italia del 9° Censimento del FAI - Fondo Ambiente Italiano "I Luoghi del Cuore". Grazie a questo risultato il FAI con INTESA SAN PAOLO ha assegnato un contributo di 30.000 euro per il recupero del tetto dell'Abbazia. I lavori sono in corso"

L'abbazia benedettina di San Michele Arcangelo di Lamoli è uno splendido esempio in stile tardo romanico, la sua documentazione più antica risale al 1218. Imponenti le sue misure 31,60x16,10 metri, con otto arcate tra le navate con diverse aperture, le campate sono sorrette su pilastri quadrangolari in pietra, di cui tre in doppia lunghezza, in alcuni pennacchi sono visibili delle decorazioni in cotto a forma di tondi e raggiere, le finestre sono piccole e strette a doppio strombo con archetto monolitico e cunei in pietra con suggestivi effetti di luce, il soffitto è a capriate lignee . L'Abbazia è stata soggetto di un improntante lavoro di restauro negli anni 50 del XX secolo, e conserva all'interno della cripta un piccolo spazio espositivo con opere d'arte sacra e manoscritti antichi.

Tra le opere presenti all'interno della chiesa meritano una menzione speciale gli "Stucchi Preromanici" scoperti durante i lavori di restauro e studiati dal prof. Mario Selmi in uno studio del 1954 " Miscellanea Preromanica"[2]. L'autore descrive cosi il ritrovamento: "Sotto la pavimentazione vennero ritrovati pezzi di stucchi constati di racemi o di allungate palmette appartenenti a plutei ovvero tracce viminee, scanalature diritte o a spirale appartenenti a pilastrini uno dei quali da me ricomposto. Inoltre cornici con palmette o foglie trifide quali si trovano di qualche recinto dove taluni plutei con elementi architettonici erano crocisignati, ed altri dovevano essere modellati a bassorilievo con le figure degli Evangelisti come sembrano dimostrare certi frammenti...".

L'autore vi vede un gusto arcaico preromanico paragonandolo a quelli del Tempietto di Cividale, e di San Vitale a Ravenna. Secondo l'autore, il ritrovamento di Lamoli, notevole non tanto per il valore artistico degli stucchi, quanto per il luogo del ritrovamento deve renderci vigili e accorti nell'occasione di indagini o di scavi in fabbriche romaniche ovvero anche più tarde ma di antica fondazione.

Analizzando attentamente gli stucchi e confrontandoli con quelli proposti dal prof. Selmi come vicinanza tipologica si nota a primo impatto che gli stucchi lamolesi sono frammenti decorativi realizzati in maniera semplice, mancano completamente della pienezza espressiva tipica dell'arte longobarda, non si è davanti all' Horror Vacui tipico di tali decorazioni e di quelle più squisitamente tardoromane esemplificate cattedra di Massimiano esempio dell'arte ravennate del V secolo. Si è più probabilmente davanti ad una semplice decorazione d'ispirazione romanica con motivi a traforo, con decorati vegetali , tralci di vite, croci e con chiari riferimenti religiosi.

Tra le più importanti opere presenti nell'abbazia ricordiamo il Crocifisso Ligneo di scuola Toscana detto " Cristo Spirante" documentato dal 1547[3], bell'esempio di scultura a tutto tondo ricoperto da pigmenti colorati che hanno conferito all' incarnato un colore bruno olivastro, databile al XVI secolo. Il crocifisso lamolese è ricollegabile a questo periodo, in primis si può notare che il volto è sofferente e carico di pathos, colto nell' estremo attimo prima della morte, chiara cifra stilistica dell'iconografia della Crocifisso del Rinascimento. La provenienza del opera d'arte è sicuramente Toscana, si riscontrano difatti delle peculiarità con le crocifissioni del Brunelleschi (1420 a Santa Maria Novella Firenze) e di Donatello(1425 a Santa Croce sempre nel capoluogo Toscano)) veri e propri innovatori di questo genere iconografico del primo quattrocento. La carenza di documenti e studi relativi a quest'opera, rende difficile una chiara datazione e l'effettivo ambito geografico delle sue origini. Per anni la tradizione popolare lo ha attribuito alla scuola del Brunelleschi, fatto non dimostrabile non solo per la carenza di certificazioni, ma soprattutto per la cifra stilistica in cui esso è stato realizzato, che lo ricollega sicuramente ad una scuola toscana ma è improbabile che sia proprio quella del grande architetto e artista fiorentino.

Altro interessante argomento è quello riguardante l' opera di Raffaellino del Colle presente nella chiesa, "Eterno Padre tra due angeli" un tempo unita alla tavola del "Presepe" oggi ai Musei civici di Pesaro, e datate al 1528 -29. La figura dell' ultimo allievo di Raffaello, fu molto attiva nell' alta valle del Metauro si riscontrano opere nella chiesa di Parchiule, Palazzo Mucci, Sant'Angelo in Vado e Urbania. Con buona probabilità il pittore di Borgo Sansepolcro, percorreva spesso la strada che collegava Urbino e la famiglia dei della Rovere, suoi protettori, al luogo natio e non è impossibile che durante questi frequenti viaggi gli siano state commissionate opere per la sua fama e importanza. La Lunetta, raffigura Dio al centro di essa, circondato dalle nuvole raggi di sole con due angioletti che assistono ad una scena sottostante. Il padre reca nella mano sinistra un globo celeste mentre con la destra indica un ipotetico osservatore quasi lo invitasse ad ammirare quello che sta accadendo. La scena sottostante rappresenta la vergine al centro che copre il bambino davanti a se con un velo trasparente e al suo fianco si vede San Giuseppe, un pastore inginocchiato e alla sinistra della vergine vi è appoggiato nel rifugio di fortuna una figura di santo non identificato. Sullo sfondo un bellissimo paesaggio, dove è visibile un pastorello vicino al bue e l'asinello che fa capolino da un apertura per osservare l'importante scena. La tavola è una classica raffigurazione di un Adorazione dove sono chiari i riferimenti all'arte del Maestro del pittore di Borgo, riscontrabili nelle impostazione stilistica dell'opera e nel velo della vergine, nella raffigurazione del santo ignoto e del pastorello.

Attualmente la lunetta è stata separata dalla copia della tavola, e l'opera non rende più l'idea d'origine, quella di far capire allo spettatore l'importanza dell' evento della natività.[4]

Tra le altre opere d'arte presenti nel abbazia si possono ammirare una "Madonna del Rosario"di un seguace anonimo del Mancini databile al XVIII secolo, la tela rappresenta la vergine che indossa una veste rosa e un manto azzurro, in braccio ha il bambino che ha in mano una coroncina. La vergine è appoggiata sopra una nuvola circondata da angioletti che le lanciano rose bianche e coroncine. Altra tela quella raffigurante "San Michele Arcangelo" del XVII secolo, copia da Guido Reni è il bellissimo "Cristo Morto" di Anton Maria Maragliano importante artista genovese rinnovatore in chiave barocca dell'arte lignea.

All'interno di San Michele è possibile vedere alcuni frammenti del ciclo di affreschi che in origine ricopriva interamente l'abbazia, interessanti per il notevole livello artistico , tra cui spicca l'affresco staccato della Madonna con il Bambino detta " Madonna del Latte" splendido esempio di scuola Umbro Marchigiana databile tra il XV e il XVI secolo, dove sono visibili gli influssi stilistici del Signorelli e del Perugino, soprattutto nella dolcezza e delicatezza del volto della vergine e associabile stilisticamente alla Madonna in Trono col Bambino e gli angeli detta " Madonna di Spogna" visibile nella chiesa Parrocchiale di Santa Maria Nuova di Borgo Pace.. Interessanti anche gli affreschi raffiguranti " San Rocco" e San Giulliano" e quello staccato della " Crocifissione" databili entrambi alla fine del XV secolo di scuola Umbro Marchigiana.[5]

Gentilmente concessa dalla Dott.ssa Daniela Bartolucci che ringraziamo.


[1] Per quanto riguarda la storia della Massa Trabaria e le origini di Lamoli:

G. Muzi ",Memorie Ecclesiastiche e Civili di Città di Castello".Volume IV, 1843 Città di Castello.

P.Fabre, Massa d'Arno, Massa di Bagno e Massa Trabria, 1894 Roma

V Lanciarini, "Tiferno Mataurense e la Provincia di Massa Trabaria, Memorie Storiche, " 1890-1912Sant'Angelo in Vado, Grafica Vadese.

T.Codignola "La Massa Trabaria " ristampato da Leo S. Olschki, Firenze 2005.

5C. Giacobini e C.Leonardi, "Castrum Lamolarum. Aspetti, storici, demografici e di vita quotidiana di un piccolo centro della Massa Trabaria", Sant'Angelo in Vado, Grafica Vadese, 1995;

[2] Mario Selmi" Miscellanea Preromanica " I congresso internazionale mdi Studi Longobardi Spoleto 1951. p.476 .

[3] Elenchi dei beni abbaziali di Don Enea Bani 1547 e Bernardino Neri 1743, ambedue conservati in pessimo stato all'interno della " Biblioteca Civico-Ecclesiastica di Sant'Angelo in Vado e nell'archivio Arcivescovile di Urbania.

[4] Per quanto riguarda l'esegesi delle due opere di Raffaellino del Colle di proprietà abbaziale si guardi:

M. Droghini, "Un Raffaellino del Colle da Lamoli alle collezioni Passionei e Mosca ai Musei civici di Pesaro", in Città e Contà Pesaro , n.21,Pesaro 2004 pp.119-131.

[5] C.Inzerillo " La pittura nell'alta Valle del Metauro nei secoli XIV-XV" Comunità montana dell'altoe medio Metauro,1996.

C.Inzerillo, "La Pittura Medioevale nell'Alta Valle del Metauro: nuovi elementi di lettura e nuove scoperte" Accademia Raffaello 2 Atti e Studi Urbino 2004 p.78.

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